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Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

mercoledì 13 agosto 2008

L’Europa costruisce muri,

e l’Italia è la prima a mettere mattoni
martedì 18 dicembre 2007, 13.07.10 | Marzia Coronati
Mussie Zerai, eritreo che vive a Roma da più di 15 anni, è il responsabile dell’ong Habesha, un’associazione che si occupa di accoglienza dei migranti africani. Dal viaggio alla casa al lavoro ai documenti, Mussie racconta le difficoltà di una persona che arriva in Italia dall’Africa.


Mussie Zerai, dell’associazione Habesha, è a Roma dal 1992. Quando è arrivato in Italia dal suo paese, l’Eritrea, possedeva un visto regolare e il viaggio lo ha fatto a bordo di un aereo.

Oggi, ci racconta Mussie, qualsiasi eritreo che vuole raggiungere l’Europa deve prima di tutto attraversare la frontiera tra Eritrea e Sudan. , dice Mussie.

Una volta in Sudan, gli eritrei si ritrovano spesso abbandonati a se stessi, l’unica cosa su ui possono contare è la solidarietà, nella speranza che chi è partito prima di loro li ospiti sotto un tetto così da raccimolare qualche soldo per continuare il viaggio. Spesso il governo sudanese, di concerto con quello eritreo, organizza delle retate per rimpatriare i migranti. Le persone in Sudan non si sentono sicure e sono incentivate a proseguire il viaggio verso Nord. , continua Mussie.

Dopo il Sudan, l’ostacolo successivo è il deserto. Un’insidia gigante, . Molti di loro vengono presi dai militari e trattenuti in una delle 21 carceri della Libia, finanziate anche dal governo italiano, dopo essere stati ripuliti di tutto quello che hanno. Anche qui si conta sulla solidarietà di parenti e amici per farsi finanziare la liberazione e il proseguo del viaggio, cioè la traversata del Mediterraneo.

Quando le persone giungono in Italia, il primo trauma è l’impatto con i Cpt, i centri di permanenza temporanea dove vengono rinchiusi e privati della loro libertà, proprio loro che sono venuti a cercare la libertà. E’ per questo che i suicidi sono oati all’interno di queste strutture.

Il problema italiano è che non c’è un sistema di accoglienza nazionale, manca una legge organica sul diritto di asilo. , spiega Mussie .

Oggi ci sono delle esperienze pilota, ma sono ancora insufficienti e poco funzionali. Ancora non si è creata una rete di accoglienza nazionale, in cui ogni comune dia la disponibilità di quante persone può accogliere, cosicchè i centri di permanenza abbiano già una mappa dei posti disponibili dove mandare le persone.

A Roma gran parte degli africani vivono in case occupate, ad esempio alla Romanina. Qui in un palazzo di sette piani che era stato affittatto del comune per essere messo a disposizione per eritrei, etiopi, somali e sudanesi vivono circa 600 persone. Era stato presentato un progetto, in collaborazione con il X municipio, per creare un centro di seconda accoglienza, ci ha spiegato Mussie, dove si sarebbero potuti offrire corsi professionali e di lingua per accompagnare i migranti alla autonomia. Questo progetto non è stato totalmente approvato dal comune, che ha proposto di trasferire le persone in altre strutture, ma i migranti hanno rifiutato perchè sono stanci di essere traferiti da un centro a un altro, in posti che più che case sembrano ghetti.

Anche l’accesso al mondo del lavoro è complicato. , ci dice Mussie, .

Indietro, in Africa non torna quasi nessuno, perchè la situazione attualmente non lo permette. Degli eritrei, quasi nessuno vorrebbe fermarsi in Italia, ma tutti la vedono come nazione di passaggio, per andare altrove: in Inghilterra o nei paesi scandinavi per esempio, perchè in Italia non trovano le possiblità di vita che avevano sognato. L’accordo di Dublino prevede che il primo paese in cui si approda è quello che ti deve ospitare. Chi prova ad andarsene dopo avere registrato le proprie impronte digitali in Italia, viene rimandato indietro , ci ha raccontato Mussie.

In più oggi l’Europa, come si è detto anche al recente incontro ull’Africa tenutosi a Lisbona, sta capendo come fare per bloccare gli arrivi, mentre i migranti chiedono di portare avanti un programma di settlement, come accade in altri paesi come l’Australia, perchè le persone che fuggono da guerre o situazioni a rischio vengano accolte nel paese di primo o di secondo approdo.

conclude Mussie.
Commenti
Una telefonata con un detenenuto in un carcere libico
martedì 18 dicembre 2007, 11.36.15 | Marzia Coronati
“Non vediamo la luce del sole da mesi.. Siamo stati portati fuori, spogliati nudi e picchiati”. Inizia così l’intervista a uno dei 500 migranti detenuti nel centro di detenzione di Zawiyah. Un documento esclusivo - prodotto da Fortress Europe, Agenzia Habeshia e Radio Parole - che documenta le condizioni degradanti in cui decine di migliaia di migranti e rifugiati sono arrestati e detenuti in Libia. Il loro reato? Essere candidati all’immigrazione clandestina verso la Sicilia.

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