don. Mosè

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Roma, Italy
Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

martedì 16 giugno 2009

Dall'Etiopia a Roma Lettere alla madre di una migrante in fuga

Collane: Periferie
a cura di Michele Colloca e Mussie Zerai Yosief
Dall'Etiopia a Roma
Lettere alla madre di una migrante in fuga




Quando scappa con la madre per la prima volta, Simret è poco più che una bambina.
Destinazione: Sudan. Nel 2005 un nuovo viaggio con altri migranti porta le due donne in Libia, verso l’Europa. Proprio nel deserto libico la madre muore. La ragazza, lacerata dal dolore, è costretta a proseguire, ma da quel momento inizia a scriverle una serie di lettere commoventi.
Il viaggio, alla fine, la condurrà fino a Roma e a una nuova vita.

Una testimonianza eccezionale e attualissima


Michele Colloca, ingegnere biomedico e ricercatore presso l’Università “La Sapienza”, e Mussie Zerai Yosief, studente di teologia, collaborano con l’Agenzia Habeshia di Roma, organizzazione per l’assistenza a rifugiati e richiedenti asilo politico di cui Mussie è anche fondatore.

NELLE LIBRERIE DI TUTTA ITALIA E IN STRADA PER MANO DEI VENDITORI DEL GIORNALE DI STRADA DAL 24 GIUGNO 2009

mercoledì 13 maggio 2009

Don. Palazzo "Immigrati? Non c'è più posto"

Parla don Palazzo,"prete dei disperati"

“So ch’è uscita co’ nu poco di scalpore”. Ricorda così don Antonio Palazzo l’intervista che rilasciò al Corriere nel 1999. Disse: “Troppo disordine, non c’è posto per altri clandestini”. Una dichiarazione sofferta. Perché don Antonio è considerato il prete dei poveri dalle sue parti, a Castel Volturno in provincia di Caserta. Con la sua associazione Jerry Maslo, il prete ha aiutato migliaia di immigrati clandestini. Tanto che non riesce più a tenere il conto dei registri. Ha annotato tutti i disperati, dal lontano ’89, e continua a farlo.

Per dotare i clandestini, che non hanno documenti, di una specie di surrogato del passaporto, che permetta loro di accedere ai servizi dell’associazione. Un’invenzione di don Antonio: i tesserini Caritas, con nome, foto e data. In questo modo i clandestini possono accedere agli ambulatori e alle mense allestite. E possono ricevere posta dal proprio paese. Senza paura. Nonostante tutto questo nel ‘99 ha cambiato idea: “Basta clandestini!”. E, dall’epoca, don Antonio non si è più convertito. Oggi si occupa ancora di immigrazione e ne parla molto. Ma dice poco di camorra. E niente di politica.


Monsignor Agostino Marchetto del Pontificio Consiglio per i Migranti ha detto che il rimpatrio dei clandestini in Libia “ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati”, è d’accordo con la posizione ufficiale della Chiesa cattolica?

Non so se veramente sono state violate le leggi. Comunque non è compito della Chiesa stabilirlo. So che se qui arrivano continuamente succede che non c’è più posto. Nell’area di Castel Volturno ci sono circa 30mila italiani, e gli immigrati, tra registrati e non, sono circa 10mila. È insostenibile. La strada principale del paese sembra una provincia dell’Africa. Capisco che il diritto d’asilo è fondamentale. Ma molto spesso questi ragazzi mentono sulla propria provenienza proprio per ottenere i requisiti. E non vengono da situazioni di guerra né da dittature.

Marchetto sostiene che la legislazione italiana in materia migratoria sia macchiata da un “peccato originale”: la volontà di “criminalizzare gli emigranti irregolari”.

Secondo me non esiste questo “peccato originale”. L’Italia non è razzista. Neppure in politica. Facciamo un esempio. Se un ristoratore ha delle prostitute di fronte al suo locale e le vuole cacciare, quello non è razzismo. Vuole solo un po’ di moralità.

Nel ‘99 in un intervista al Corriere sostenne che “non si potevano far entrare altri clandestini”. Ma denunciava anche quei partiti che, come lei disse all’epoca di An, soffiavano sul fuoco: “Se c’è delinquenza è colpa dei negri”. E oggi?

Preferisco non esprimermi. Gli equilibri politici a Castel Volturno sono in bilico e per questo non dico niente dei partiti. Però non nascondo che c’è un problema oggettivo. Qui i servizi pubblici sono pensati per 30mila persone. Invece, finisce che ne devono servire almeno 10mila in più. È ovvio che si creino delle situazioni spiacevoli e che qualcuno possa far leva su queste disfunzioni. Gli abitanti di Castel Volturno sono accoglienti e lo hanno dimostrato con i terremotati del 1980. Forse è proprio per questo che gli immigrati decidono di fermarsi in massa sulla nostra costa.

A Milano c’è stata anche la proposta della Lega Nord di separare milanesi ed extracomunitari nella metropolitana, creando vagoni separati. Lei paragonò già Milano con la sua Campania “abbandonata nel caos dallo Stato”.

La proposta non è da condividere. Ma deriva probabilmente da una situazione estrema. Può capitare che per casi sociali estremi qualcuno pensi a cure estremiste. Vede, dalle nostre parti, nell’entroterra campano, la gente non capisce i problemi che abbiamo noi della costa con gli immigrati. Questo perché non vivono qui. Vale lo stesso per Milano. Per quanto riguarda lo Stato, devo dire con rammarico che l’esercito inviato quaggiù dal ministro Maroni si occupa solo della camorra e praticamente per nulla della mafia nigeriana. Che porta prostituzione e spaccio di droga.

Lei è stato a contatto con molti immigrati. Con le loro storie.

Alla fine degli anni ’80 arrivavano con i barconi direttamente sulla costa di Castel Volturno. Adesso le barche semmai si fermano in Sicilia. Gli immigrati arrivano dopo, e rimangono a Castel Volturno soltanto come parcheggio, perché non c’è tanto lavoro. Qualcuno, per brevi periodi, si spinge fino in Germania per un’occupazione. Sono soprattutto nigeriani. In generale, dormono in abitazioni che vengono affittate per circa 500 euro a un immigrato con regolare permesso di soggiorno. Ma di loro ci vivono fino in venti della stessa nazionalità, pagando 50 euro a testa per un posto letto. L’africano che ci guadagna manda di solito i soldi in patria.

Camorra e clandestinità. Come s’intrecciano questi due fenomeni?

La Camorra non c’entra con la tratta di esseri umani. Sono soprattutto associazioni mafiose che hanno base nei paesi di provenienza degli immigrati a gestire il fenomeno. Accade questo: l’associazione dice all’emigrante che gli troverà un posto di lavoro pulito in Italia. Gli paga anche il viaggio. Via Ghana, oppure perfino via Germania o Francia. Poi, una volta arrivato, gli tolgono i documenti per ricattarlo e gli dicono che ha un debito con loro di 15 o 20mila euro. Sono pochi ormai che non arrivano con un volo aereo. Le donne finiscono per fare le prostitute e gli uomini gli spacciatori. Purtroppo la maggior parte degli uomini raccoglierebbe pomodori o farebbe il muratore. Ma quando rimangono disoccupati gli immigrati diventano facile prede di questo sistema. Finché qualcuno non decide addirittura di entrare nell’organizzazione malavitosa per fare soldi facili.

Berlusconi ha sentenziato: “l’immigrazione è organizzata scientificamente da criminali”. Mentre cattolici di Pd e Udc hanno firmato un appello per i colleghi “credenti” del Pdl affinché rifiutino le norme del ddl sicurezza. Savino Pezzotta, ex segretario della Cils ha parlato di "pararazzismo" e ha dichiarato: “In questi giorni vengono respinte persone che sono in gran parte profughi".

I delinquenti sono soprattutto queste organizzazioni con base in Africa. Quelli che vengono da noi e delinquono sono una minoranza. Se finiscono nel giro è soprattutto per necessità. Secondo me la soluzione è scoraggiare l’immigrazione nei paesi di origine. Con la nostra associazione Jerry Maslo abbiamo costruito pozzi, scuole e ambulatori in Benin. Abbiamo aperto dei conti correnti intestati ai bambini, soldi che non possono toccare neppure i loro genitori prima dei 18 anni. Un meccanismo che serve a disincentivare la fuga. Sul respingimento dei barconi non mi esprimo. Comunque, quando i clandestini vengono da me per chiedermi un panino, io non li denuncio, ma do loro il panino che mi chiedono.

IL SANTO DEL GIORNO: 14 MAGGIO - MATTIA

Roma, 13 mag. - (Adnkronos) - Eusebio di Cesarea lo considera uno dei settantadue discepoli del Signore. E' certo che dopo l'Ascensione, Pietro, trovandosi nel Cenacolo con gli apostoli, Maria e altri credenti, in numero di circa 120 persone, propone di riportare a dodici il numero degli apostoli, come era stato per volere del Maestro, scegliendo tra i presenti uno che fosse stato con Gesu' fin dall'inizio. La comunita' presenta due candidati: Giuseppe detto il Giusto e Mattia. Dopo una breve preghiera si tira a sorte e questa cade su Mattia. L'apostolo Mattia muore testimoniando la fede nel 63 in Etiopia.

domenica 3 maggio 2009

Nessuna Salvezza al di fuori di Cristo!


L’uomo non ha in sé la capacità
di redenzione. Dietro le tesi di Mancuso, la tentazione gnostica
ENZO BIANCHI

Il senso cristiano della parola «salvezza» è sempre più sconosciuto, eppure la domanda di salvezza - anche se espressa con termini diversi - risuona con forza perché oggi più che mai emerge il desiderio di ogni uomo e di ogni donna. Essere liberi dalle alienazioni che contraddicono la condizione umana, redenti dalla morte e dalla sofferenza nelle sue molteplici forme, liberati dalle schiavitù che opprimono il corpo e la psiche e impediscono all’uomo di essere ciò che vorrebbe, salvati dal male che si può fare o ricevere: tutto questo significa trovare salvezza, salvarsi, essere salvati.

Tutti gli esseri umani sono abitati da una domanda di salvezza che talora si manifesta come grido disperato, talaltra come ricerca perseguita con impegno e determinazione, altre volte ancora sotto la forma di un interrogativo inespresso, una non-domanda. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani coinvolge in questa domanda di salvezza il cosmo intero: «la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere pure lei liberata dalla schiavitù della corruzione... Tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,19-23). La salvezza cristiana ha allora una portata cosmica: vi è una speranza di salvezza, una trasfigurazione avvertita come necessaria dal cosmo intero. Così, quando l’uomo chiede salvezza, si fa voce anche di tutte le creature, animate e inanimate.

A questo dolore cosmico non può che corrispondere una salvezza cosmica, salvezza che appare soprattutto come liberazione dalla morte, come nuova creazione dove «non ci sarà più la morte, né il lutto, né il lamento perché le cose di prima sono passate» (Apocalisse 21,4). Con una certa audacia si potrebbe affermare anche che ogni essere umano, in virtù di un dinamismo che precede il suo volere e il suo sentire, è attirato verso la salvezza assieme a tutta la creazione. Salvezza che, per essere autentica, deve declinarsi come liberazione dalla morte: così nella loro attesa di salvezza i cristiani sono chiamati a sperare per tutti nella venuta definitiva del Signore che apporterà alla storia il suo compimento.

Ora, nella fede cristiana questa salvezza è azione di Dio nella storia, dall’in-principio fino a quando la storia stessa troverà il suo compimento. Per i cristiani, quindi, c’è una storia di salvezza grazie a un’azione di Dio - acclamato già da Israele come Goel, «Redentore», nell’uscita dall’Egitto - che ha il suo culmine nell’incarnazione, nell’umanizzazione di suo Figlio. Il Dio dei cristiani è il Dio che salva, che si prende cura del sofferente; è il compassionevole che accorre dove c’è la vittima, le si fa vicino e non l’abbandona neanche al di là della morte. È quanto ha fatto Gesù - il cui nome significa «il Signore salva» - con le persone che incontrava: è passato tra gli uomini salvando le vite, come ci testimoniano i Vangeli con la loro narrazione di storie personali e di relazioni con Gesù. E avendo vissuto l’amore fino all’estremo e senza contraddizioni, Gesù quale Figlio è stato risuscitato dal Padre in modo che l’amore di Dio, l’amore che è Dio vincesse la morte. L’evento dell’alba pasquale sigilla la presenza della salvezza autentica: Gesù risorto ha trionfato sulla morte ed è veramente il Kyrios, il Signore della Chiesa e del cosmo.

Questa è la fede cristiana e la declinazione della salvezza cristiana, oggi non capìta neppure da molti cristiani che non osano credere nella risurrezione di Gesù, nella vittoria dell’amore sulla morte e sovente preferiscono pensare alla salvezza come realizzazione di sé, guarigione, felicità da acquisire nell’istante che passa, speranza terapeutica di tutti gli aspetti della realizzazione di sé. Così l’attesa della salvezza si è fatta individualistica: ciascuno si limita a sperare per sé, per la realizzazione dei propri interessi, identificando la salvezza con una promessa personale di vita senza gli altri o persino contro gli altri.

Questa deriva dell’idea di salvezza va denunciata con chiarezza senza pertanto misconoscere le molteplici ferite che affliggono l’esistenza quotidiana, le sofferenze nascoste sotto la superficie patinata di una società costantemente intenta a darsi un’immagine luccicante di illusioni. Ecco perché la storia della salvezza va coniugata con la salvezza delle storie: già qui e ora si può sperimentare la salvezza come arte del vivere quotidiano, una salvezza sì personale, ma anche solidale con gli altri e con il cosmo. È quanto ha testimoniato l’esistenza terrena di Gesù, il suo percorso di ricerca del senso della vita, della liberazione dalla morte.

La fede cristiana pensa dunque che la salvezza è opera di Dio, che l’uomo non si salva da se stesso, che questa salvezza ha avuto la sua pienezza in Gesù Cristo, l’unico salvatore del mondo, al quale competerà l’atto finale della storia, il «giudizio» che mostrerà come la salvezza è stata offerta a tutti ed è da tutti perseguibile, ma rivelerà anche chi potrà parteciparvi, in base alle scelte operate durante la propria vita, scelte secondo l’amore, che portano alla via della vita, o scelte contro l’amore, che conducono sulla via della morte e del nulla. Purtroppo oggi nella Chiesa questa predicazione sul giudizio escatologico è carente rischiando così non solo di dimenticare l’orizzonte della storia e le realtà ultime, ma anche di smarrire la comprensione della vera e definitiva salvezza. Un filosofo ateo come Adorno ha osato pensare la liberazione per tutti e non a caso ha concluso che questa potrebbe esserci se ci fosse un giudizio finale, una risurrezione dei morti che introducesse le vittime della storia in una condizione di salvezza e di restituzione all’integrità. Questa per i cristiani è una convinzione essenziale della fede: se infatti Cristo non è risorto, se non ci sarà giudizio finale, vana è la nostra fede e noi cristiani siamo da compiangere come i più miserabili (cfr. Prima Lettera ai Corinti 15, 17-19).

A questa concezione cristiana si opposero ben presto altre letture della salvezza o altre salvezze, come quella dichiarata dalle «gnosi», dove la salvezza consiste in una presa di coscienza da parte dell’uomo di se stesso e della sua identità divina originale avente in sé, senza Dio, una capacità di redenzione. Oggi, sulla scia delle gnosi, attraversano la nostra cultura molte concezioni di salvezza che negano o attenuano l’azione di salvezza del Dio vivente nella storia: poco attente alla «storia di Gesù di Nazareth», sono portate a relegare l’evento della croce e della risurrezione di Gesù a semplice eloquenza dell’amore. Se la vicenda della rivelazione di Dio da Abramo a Mosè fino a Gesù è ridotta a una storia particolare, che riguarda un tempo e un popolo particolare, la si coglie come vicenda incapace di portata universale, come invece l’ha sempre letta la tradizione cristiana.

È per questo che, senza voler giudicare eretico Vito Mancuso né tanto meno volerlo condannare, ho letto i suoi due ultimi libri come appartenenti alla galassia di una gnosi oggi risuscitata. La fede cristiana, e non solo quella cattolica, è invece convinta che Gesù di Nazareth è stato ed è «l’immagine del Dio invisibile», «l’esegesi del Padre», il Figlio di Dio fattosi uomo, il giusto condannato e crocifisso perché in un mondo ingiusto questa è la fine che spetta al giusto. Sì, Gesù ha vissuto l’amore e la giustizia fino all’estremo e ci ha insegnato a vivere così quale vero uomo, l’uomo come Dio lo ha pensato nel crearlo. Con la risurrezione Dio ha mostrato che l’amore vissuto dall’uomo Gesù vince la morte e che dunque la salvezza è data a tutti quelli che si conformano a lui. Ecco perché, se nel mondo non ci fosse la Chiesa, verrebbe meno il segno e lo strumento del piano di Dio di riunire tutti gli uomini nell’unico corpo di Cristo, così che «l’uomo diventi Dio», secondo l’adagio dei padri orientali. Ma a questa salvezza possono partecipare tutti gli uomini di tutte le epoche e di tutte le culture quando, percorrendo vie di umanizzazione, si rendono conformi a Dio. È quanto ha rivelato Gesù nel discorso sul giudizio universale nel Vangelo secondo Matteo.

L’evento della morte-risurrezione di Gesù per i cristiani è l’unico evento di salvezza, un evento di portata universale: «Cristo è morto per tutti - ricorda il concilio - e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (Gaudium et spes 22). Tutti gli esseri umani, non solo i cristiani, non solo quelli che sono nella Chiesa, ma anche quelli «extra ecclesia» possono essere salvati da Cristo e la salvezza ha destinazione cosmica. Questa visione della storia di salvezza non si nutre di «miserabili artifizi, né di salti logici clamorosi», ma nasce dalla visione consegnataci dall’Antico e dal Nuovo Testamento in cui un popolo marginale, Israele, un ebreo marginale, Gesù, una comunità marginale come la Chiesa non sono una delle storie possibili, ma la storia scelta da Dio per fare alleanza con tutta l’umanità, perché il suo Nome possa regnare come speranza di salvezza per tutti quelli che nella libertà e per amore aderiscono alla buona notizia o all’immagine di Dio impressa per sempre da Dio stesso in ogni uomo fin dalla creazione.

La storia del popolo di Dio, la vicenda terrena di Gesù è particolare, ma con la sua morte e risurrezione Gesù è anche morto all’appartenenza ristretta a un gruppo particolare, per rinascere all’universalità, a una presenza diffusa ovunque dal suo Spirito santo. La salvezza passa sì attraverso una storia particolare, ma è destinata e si estende universalmente.

mercoledì 1 aprile 2009

Immigrazione: Chiesa mettiti in gioco


"Non molesterai il forestiero né lo opprimerai perché voi siete stati forestieri in terra di Egitto” (Esodo, 22,20)

Appello di Alex Zanotelli e dei missionari comboniani al mondo missionario, alla Cei e alle chiese per chiedere la disobbedienza civile alle leggi razziste previste nel pacchetto sicurezza che instaurano in Italia una legislazione da apartheid.
30 marzo 2009 - Alex Zanotelli
Fonte: www.nigrizia,it

Alex Zanotelli

Fonte: www.ilgridodeipoveri.org

Noi missionari/e sentiamo il dovere di reagire e protestare contro la strage in atto nel Mediterraneo e le leggi razziste contro gli immigrati che arrivano sulle nostre coste. È una tragedia questa, che non ci può lasciare indifferenti: migliaia e migliaia di africani che tentano di attraversare il Mare nostrum per arrivare nell’agognato "Eden". Un viaggio che spesso si conclude tragicamente. Dal 2002 al 2008 sono morti, in maggioranza scomparsi in mare, 42 mila persone, secondo la ricerca condotta a Lampedusa da Giampaolo Visetti, giornalista di La Repubblica. Trecento persone al giorno! Il più grande massacro europeo dopo la II Guerra Mondiale che si consuma sotto i nostri occhi.

E qual è la risposta del governo? Chiudere le frontiere e bloccare questa "invasione". E per questo il "nostro" governo ha stipulato accordi con la Libia e la Tunisia. Il 5 gennaio 2009 infatti il Senato ha approvato il Trattato con il governo libico di Gheddafi per impedire che le cosiddette carrette del mare arrivino a Lampedusa. Com’è possibile firmare un trattato con un paese come la Libia che tratta in maniera così vergognosa gli immigrati in casa propria?
Il 27 gennaio 2009 il ministro Maroni si è incontrato con il ministro degli Interni tunisino per la stessa ragione. Il regime di Ben Ali in Tunisia non è meno dittatoriale di quello libico. Questi tentativi italiani per bloccare l’immigrazione clandestina, sono sostenuti dal Frontex, l’Agenzia Europea per la difesa dei confini, che ha ricevuto oltre 22 milioni di euro per tali operazioni.

Ci dimentichiamo però che questa pressione migratoria è dovuta alla tormentata situazione africana, in particolare dell’Africa Centrale e Orientale. Le situazioni di miseria e oppressione, le guerre troppo spesso dimenticate dell’Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, Ciad sospingono migliaia di persone a fuggire attraverso il deserto per arrivare in Tunisia e Libia dove sono trattate come schiavi: lunghi anni di lavoro in nero per ottenere i soldi per la grande traversata (soldi che andranno alle mafie). E se riusciranno (pagando 3-4000 euro) ad attraversare il Mediterraneo ed arrivare a Lampedusa, verranno rinchiusi in un vero e proprio campo di concentramento, il Centro di “accoglienza” trasformato il 24 gennaio in Cie (Centro di identificazione ed espulsione): un vero lager che può ospitare 900 persone ed invece ne contiene 1900! Di qui le drammatiche rivolte di questi giorni con i tentati suicidi di parecchi tunisini che non vogliono essere rimpatriati perché sanno quello che li attende.

Tutto questo grazie alla solerzia del nostro ministro Maroni che ha detto che bisogna essere «cattivi» con gli immigrati. E il suo Pacchetto Sicurezza è la «cattiveria trasformata in legge», come afferma il settimanale Famiglia Cristiana. Infatti nel Pacchetto Sicurezza il clandestino è dichiarato criminale. Una legislazione questa che ha trovato un terreno fertile, preparato da un crescente razzismo della società italiana (così ben espresso dalla Lega!) e da una legislazione che va dalla Turco-Napolitano (l’idea dei Centri di permanenza temporanea) all’immorale e non-costituzionale Bossi-Fini, che non riconosce l’immigrato come soggetto di diritto, ma come forza lavoro pagata a basso prezzo, da rispedire al mittente quando non ci serve più.

La legge infatti prevede, fra le altre cose, la possibilità che i medici denuncino i clandestini ammalati, la tassa sul permesso di soggiorno (dagli 80 ai 200 euro!), le "ronde", il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e i matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione. Maroni ha pure deciso di costruire una decina di Centri di identificazione e di espulsione, ove saranno rinchiusi fino a 6 mesi i clandestini. Questa è una legislazione da apartheid: il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, Rom e mendicanti. È una cultura xenofoba e razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’apartheid. Tutto questo immemori di essere stati noi “forestieri in terra di Egitto” quando così tanti italiani oltre al doloroso distacco dalla propria terra, hanno sperimentato l’emarginazione, il disprezzo e l’oppressione.

Per questo noi chiediamo:

ai missionari/e, religiosi/e, laici/che impegnati con il Sud del mondo:
- di schierarsi dalla parte degli immigrati contro una «politica miope e xenofoba» e che fa «precipitare l’Italia, unico paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali», come afferma Famiglia Cristiana.
- di organizzare una processione penitenziale, per chiedere perdono a Dio e ai fratelli migranti per il razzismo, la xenofobia, la caccia al musulmano che, come forza diabolica, sono entrate nel corpo politico di questa Italia.

alla Conferenza Episcopale Italiana:
- di chiedere la disobbedienza civile a queste leggi razziste. È quanto ha fatto nel 2006, in situazioni analoghe, il cardinale R. Mahoney di Los Angeles, California, che ha chiesto nell’omelia del mercoledì delle Ceneri a tutti i cattolici americani di servire tutti gli immigrati, anche quelli clandestini.

alla Chiesa cattolica in Italia e alle altre Chiese:
di riprendere l’antica pratica biblica, accolta e praticata anche dalle comunità cristiane di fare del tempio il luogo di rifugio per avere salva la vita, come indicato nel libro dei Numeri 35,10-12. Su questa base biblica negli anni ’80, negli USA, nacque il Sanctuary Movement che oggi viene rilanciato.

Come missionari/e facciamo nostro l’appello degli antropologi italiani: "Quell’antropologia impegnata dalla promessa di ampliare gli orizzonti di ciò che dobbiamo considerare umano deve denunciare il ripiegamento autoritario, razzista, irrazionale e liberticida che sta minando le basi della coesistenza civile nel nostro paese, e che rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60 anni fa, contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali. Forse anche allora, in molti pensarono che no si sarebbe osato tanto: oggi abbiamo il dovere di non ripetere quell’errore".

Viviamo un tempo difficile, ma carico di speranza nella misura in cui siamo capaci di mettere in gioco la nostra vita per la Vita.

Napoli, 9 marzo 2009

Comunità Comboniana - Rione Sanita (Napoli)
Alex Zanotelli e Domenico Guarino
Casa Rut – Suore Orsoline, Caserta
Casa Zaccheo – Padri Sacramentini, Caserta
Missionarie Comboniane – Torre Annunziata (Napoli)

Per adesioni cliccare su http://www.nigrizia.it/doc.asp?id=11879&.IDCategoria=108

Aderiscono : padre Fernando Zolli (comboniano), Giovani impegno missionario Napoli, Nigrizia, Centro Comunicazione Combonifem, don Roberto Pasetti, Comitato Caserta città di pace, don Giorgio A. Pisano, padre Guido Grilli, Comunità Michea alla Sanità (Napoli), don Carmine Miccoli, Kenda Onlus - Cooperazione tra i Popoli, Coordinamento per la legalità e la giustizia di Bari, gruppo Africa Sport Bao Bab di Berlino, don Angelo Cassano, Roberta Angeleri,Carla Angeleri, Todaro Sara, p. Sébastien Sasa, Associaziole Millevoci Fano, Luciano Pegoraro, Mangonza Bitumba, Fausto Inverardi, Gelato Laura, Cecilia Nicolai, Stefania Palmieri, don Antonio Ferri, Fr. Enrico, Francesco Viola, Angela Gramazio. Casa per la nonviolenza - Centro Gandhi Onlus (San Ferdinando di Puglia).

sabato 28 marzo 2009

COMUNICATO STAMPA

Figli di immigrati, nati in Italia
tavola rotonda Osservatorio sociale Ugl
7 maggio 2009-ore 16.30 Residenza di Ripetta, sala Bernini
Via di Ripetta 231 - Roma




“Figlio di immigrati, nato in Italia: cittadino italiano? quando e come?” è il titolo della tavola rotonda promossa dall’Osservatorio Ugl sui fenomeni sociali, coordinato da Eugenio Cardi, che si terrà a Roma il 7 maggio alle ore 16.30 presso la Residenza di Ripetta (Sala Bernini).
Un focus sulle cosiddette Seconde Generazioni, ragazzi nati in Italia, figli di immigrati: studiano nel nostro Paese, parlano la nostra lingua e i nostri dialetti, molto probabilmente non sono nemmeno mai stati nel paese d’origine dei loro genitori né – spesso – ne parlano la lingua. Eppure non sono riconosciuti cittadini italiani come tutti gli altri. Per ottenere la Cittadinanza italiana devono infatti sottoporsi – al compimento del 18° anno di età – ad un iter burocratico lungo e complesso, che non sempre termina con esiti positivi per il richiedente, con conseguenti e inevitabili gravi problemi di inserimento sociale e di identità.
Ne discuteranno qualificati rappresentanti del mondo istituzionale, sindacale, di quello cattolico e dell’immigrazione:
Mons. Vittorio Nozza, Direttore Caritas Italiana, Mario Morcone, Capo Dipartimento Libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno, Giovanni Puglisi, Presidente Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, Savino Pezzotta, Presidente CIR, Mussie Zerai, Presidente Agenzia Habeshia, Valerio Savio, magistrato, Mohamed Tailmoun, Portavoce Rete G2 (www.secondegenerazioni.it).
A moderare i lavori, introdotti da Eugenio Cardi, Karima Moual. Le conclusioni saranno affidate al Segretario Generale dell’Ugl, Renata Polverini.


L’iniziativa si propone di amplificare l’informazione su una contraddizione politica e sociale e insistere sulla necessità di una riforma della legge sulla Cittadinanza n. 91/1992 per eliminare una ingiusta disuguaglianza tra cittadini italiani.
Sono ad oggi, infatti, circa 530.000 gli immigrati di seconda generazione che vivono tale disagio, un fenomeno destinato a crescere in modo esponenziale nei prossimi anni, dato che le nuove nascite si attestano su circa 50.000 l’anno. E’ una questione di civiltà; come nel resto di gran parte d’Europa, è ormai il caso di adottare anche in Italia il concetto giuridico dello “ius soli”, in sostituzione di quello superato dello “ius sanguinis”.

La tavola rotonda vedrà il contributo di testimonianze dirette di giovani appartenenti alle Seconde Generazioni:come quella di Loretta Grace (cantante) e di Sonia Van Arkadie (studentessa).

L’iniziativa è realizzata con il Patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO e in collaborazione con Associazione Culturale PUNTOEACAPO (www.associazionepuntoeacapo.it); Associazione Culturale Genemaghrebina (www.genemaghrebina.it); Associazione fotografica bianco e nero, l’immagine latente; SOCIALNEWS (www.socialnews.it).


Per maggiori informazioni:

Osservatorio UGL sui fenomeni sociali, Roma, Via Margutta 19
tel. 06.32482277 – mail: osservatoriosociale@ugl.it

Ufficio Stampa Ugl
Tel. 06.32482246 – mail: ufficiostampa2@ugl.it

venerdì 20 marzo 2009

Il Papa Contro lo Sfruttamento dell'Africa dai Multinazionali


da Yaoundé (Cameroun)
Al terzo giorno del suo viaggio in Cameroun e Angola, Benedetto XVI accoglie il grido dei popoli africani, denuncia le multinazionali che sfruttano le risorse naturali, esprime solidarietà ai bambini di strada e ai bambini soldato e apre al dialogo con l’Islam.
Di fronte a 60 mila persone riunite nello stadio di Yaoundé, capitale del Cameroun, Benedetto XVI ha celebrato una Messa festosa, nel giorno del suo onomastico (san Giuseppe), accompagnata dai canti tradizionali africani.
Il pontefice ha condannato con forza quanti «cercano di imporre il regno del denaro disprezzando i più indigenti». Quindi ha espresso la sua vicinanza e la sua preghiera «ai bambini che non hanno più un padre o che
vivono abbandonati nella miseria della strada, a coloro che sono separati violentemente dai loro genitori, maltrattati e abusati, e arruolati a forza in gruppi militari che imperversano in alcuni Paesi».
Con queste parole il Papa ha raccolto così la dura denuncia contenuta nel documento di lavoro della prossima assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, in programma dal 4 al 25 ottobre prossimi a Roma. Il testo, predisposto dalla segreteria del Sinodo, sentiti gli episcopati africani, è stato oggi consegnato dallo stesso Benedetto XVI ai presidente delle Conferenze episcopali africane, affinché si preparino
all’appuntamento di ottobre. Il documento di lavoro del Sinodo («Instrumentum Laboris») non usa mezzi
termini per denunciare che «le multinazionali continuano ad invadere gradualmente il continente per apprpriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia di ettari espropriando le popolazioni delle loro terre con la complicità dei dirigenti africani». Il testo lancia anche un allarme: «La crisi che colpisce oggi le istituzioni finanziarie riguarda anche il continente a più livelli: gli investimenti diretti stranieri rischiano di diminuire; le istituzioni finanziarie africane beneficeranno difficilmente di crediti dalle banche occidentali; l’aiuto allo sviluppo rischia di soffrirne; a causa della recessione sui mercati sviluppati la domanda di produzioni africane potrebbe diminuire». Alla luce di queste analisi, il Sinodo dei vescovi
sollecita «una riflessione sul fatto che l’Africa sia esclusa dalla ricerca di soluzioni al sistema finanziario internazionale attuale». In tema di rapporti con l’Islam, il documento di lavoro del Sinodo dei vescovi denuncia «la tendenza a politicizzare le appartenenze religiose» e mette in guardia dalle «posizioni dottrinali di alcune correnti a proposito della Jihad», che inneggia alla guerra santa. Il Papa, nella nunziatura di Yaoundé ha incontrato 20 rappresentanti dei musulmani del Cameroun, che rappresentano il 21,8% della popolazione. A
due anni dal discorso di Ratisbona, Ratzinger ha ribadito che la «religione genuina» rifiuta «tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione». Riprendendo uno dei temi chiave del discorso di Ratisbona, Benedetto XVI ha osservato che «oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana». E ha lanciato un appello ai musulmani: «Insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore». I rappresentanti delle comunità musulmane camerunensi hanno raccolto l’invito: «Santità lei non è solo», hanno detto.