don. Mosè

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Roma, Italy
Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

martedì 3 agosto 2010

Appello: Date Asilo ai profughi Eritrei bloccati in Libya

Rinnoviamo il nostro appello a favore dei richiedenti asilo
politico bloccati in Libya. Chiediamo che venga trovata una reale soluzione al problema, con un progetto di reinsediamento dei rifugiati e bisognosi di protezione internazionale in Europa.

La situazione attuale dei 400 eritrei e di circa 3000 tra Somali, Sudanesi, Etiopi ed Eritrei bloccati dal muro di gomma voluto dall'Europa, è una condizione di totale abbandono, gente che sopravive accettando lavoro che gli riduce a nuovi schiavi, donne costrette a prostituirsi, situazioni non più tollerabili di degrado della dignità umana.

La sorte che ha toccato gli Eritrei "liberati" dal carcere di
Al-Braq, quella di vivere la vita da barboni con un permesso di soggiorno per tre mesi in mano. Tra tre mesi torneranno clandestini, perché non potranno presentare un documento di riconoscimento rilasciato dalle autorità del paese di origine. Ecco perché chiediamo una soluzione vera al problema di questi richiedenti asilo politico eritrei, somali, sudanesi, etiopi.

Torniamo a chiedere all'Italia di fare il primo passo offrendo a queste persone un'accoglienza nel su territorio, almeno a quelle persone che gli e stato negato l'ingresso in Italia, che sono state riconsegnate dalle autorità italiane a quelle libiche come ha confermato lo stesso ministro libico, 250 eritrei sono state riconsegnate dai militari italiani a quelli libici.

Sappiamo che l'Italia può mostrare il suo volto più umano, lo ha gai fatto anche in passato accogliendo circa 130 eritrei con il programma di reinsediamento dalla Libya.

Questa esperienza positiva che da un ingresso legale, protetto ai richiedenti asilo politico, cosi non sono costretti ad affidarsi nelle mani dei trafficanti è rischiando la vita nel mare.

Il mediterraneo è già un cimitero a cielo aperto per centinaia di migranti, ricordiamo quello accaduto un anno fa che morirono 73 eritrei nel indifferenza totale dei paesi che si affacciano nel mediterraneo, in particolare di quelli che hanno il compito di pattugliamento congiunto, in primis Frontex che dovrebbe prevenire rischi del genere, non ha fatto nulla per salvare quelle vite umane. Un anniversario doloroso per noi che abbiamo visto morire i nostri connazionali giovanissimi, con tanta voglia di vivere, di speranza in una nuova vita da costruire in Europa, sognando libertà, democrazia e benessere.

Aprite una porta !!! Chi è disperato, chi fugge da persecuzioni, guerre, catastrofi naturali possa entrare trovare rifugio.

don. Mussie Zerai

La verità di sugli eritrei “liberati” da Gheddafi. Intervista a Mussiè Zerai | Diritto di critica

Diritto di critica FOCUS: Diritto di Critica racconta le condizioni in cui sono ridotti a vivere gli eritrei “liberati” da Gheddafi. Intervista a Mosé Zerai - di Erica Balduzzi ed Emilio Fabio Torsello

www.dirittodicritica.com
Stranded alle pendici del deserto libico, dimenticati dalla comunità internazionale e costretti a vivere in mezzo a una strada. Dopo la “liberazione” ufficiale decisa dal governo libico di circa tremila migranti rinchiusi nelle carceri di Gheddafi, Diritto di Critica torna sulla questione e intervis...

mercoledì 21 luglio 2010

Rilasciati gli Eritrei di Al- Braq

Il 17 luglio sono stati rilasciati i 205 eritrei che erano rinchiusi nel carcere militare di Braq e che poi erano stati spostati. In mano, hanno un permesso di soggiorno valido tre mesi. Poi torneranno nella clandestinità.

«Cosa accadrà fra tre mesi quando il permesso di soggiorno scadrà?» chiede padre Mussie Zerai, direttore a Roma dell’organizzazione non governativa Habeshia ed eritreo come la gran parte dei migranti rilasciati dal centro di Braq. Nel fine settimana, dopo la loro liberazione, padre Mussie ha parlato con diversi di loro. Dice che i permessi di soggiorno concessi da Tripoli consentono alla Libia e all’Italia di «abbassare la tensione» su una vicenda scomoda, della quale si erano finalmente occupati anche agenzie di stampa e giornali nazionali.

Secondo l’ambasciatore libico a Roma, Hafed Guddur, gli oltre 200 profughi eritrei liberati dal centro nella regione di Sabha «potranno reinserirsi nel tessuto sociale trovando lavoro e alloggio». Il direttore di Habeshia, però, sottolinea che allo scadere dei tre mesi i migranti rischiano di tornare a essere «clandestini» in un paese dove non possono neanche presentare domanda di asilo politico. «L’unica soluzione – sostiene padre Mussie – è il reinsediamento degli eritrei in Italia o comunque in Europa, dove è rispettata la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati».

Sabato, dopo il rilascio dei migranti, diversi organismi impegnati nella difesa dei diritti umani avevano sottolineato l’importanza che non fossero state decise deportazioni in Eritrea. Un fatto positivo anche secondo padre Mussie, che però avverte: «L’Europa ha costruito un muro senza porte, che tiene fuori perfino i migranti in fuga da conflitti o regimi autoritari, dalla Somalia, dall’Eritrea o dal Darfur».

Anche per Christopher Hein, direttore del Centro italiano per i rifugiati [Cir], «la vicenda non è chiusa, è vero, ma almeno nell’immediato i migranti sono in libertà e non rischiano una deportazione». Secondo Hein gli interrogativi da sciogliere restano molti, soprattutto perché i migranti sono «richiedenti asilo in un paese che non riconosce la condizione di rifugiato». In Libia, ricorda il direttore di Cir, l’ufficio dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati [Acnur/Unhcr] opera a regime molto ridotto e il lavoro degli organismi internazionali resta difficile nonostante negli ultimi anni ci siano state alcune aperture. In questo contesto, segnato da negoziati e tensioni diplomatiche, si è inserito nel fine settimana l’annuncio dell’ambasciatore di Tripoli in Italia sulla chiusura dei 18 centri di detenzione per migranti in territorio libico. «In queste strutture – dice Hein – erano prigionieri circa 4 mila migranti, una chiusura segnalerebbe un cambiamento di politica rilevante».

Aiuta a capire una testimonianza rilasciata da Lawrence Hart, responsabile a Tripoli dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni [Oim], secondo il quale non bisogna parlare di «chiusura» ma di «sanatoria».
«Le strutture si sono svuotate e agli ex detenuti sono stati dati permessi di soggiorno di due o tre mesi – sottolinea Hart – ma negli ultimi giorni i fermi di migranti sono continuati, sia sulla terraferma che in mare». Secondo il Cir almeno 11 degli eritrei deportati nel centro di Braq erano stati respinti dalla Marina militare italiana mentre cercavano di raggiungere l’isola siciliana di Lampedusa su imbarcazioni di fortuna.

Fonti della Misna in Libia leggono le liberazioni del fine settimana nel quadro dei complessi rapporti tra Tripoli e l’Europa: «È come dire ‘noi non ce la facciamo’, che è facile criticare senza assumersi responsabilità in termini di accoglienza».