don. Mosè

La mia foto
Roma, Italy
Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

mercoledì 13 agosto 2008

http://www.previewonline.info/index.php?doc=articolo&id_articolo=939

“Mamadou va a morire”
Un reportage sui viaggi della speranza del collega Gabriele Del Grande.

Barbara Laurenzi


Roma - “Dimenticare, rimuovere, rassegnarsi alla normalità delle tragedie dell’immigrazione, sarebbe come lasciare morire ancora una volta le persone vittime dell’immigrazione irregolare”. L’introduzione di Fulvio Vassallo Paleologo anticipa al lettore il filo conduttore di “Mamadou va a morire”, il libro di Gabriele Del Grande, giovane giornalista che per tre mesi ha indossato i panni dell’emigrante, seguendo per più di 18.000 chilometri le rotte dei clandestini pronti ad espugnare la “Fortezza Europa”.

Il libro è stato presentato al pubblico lunedì 21 maggio, nella Sala del Carroccio in Campidoglio, alla presenza Abdelhilal Belgacem, (Association familles et victimes de l’immigration clandestine), Musié Zerawi, (Agenzia Habeshia) e Christopher Hein, (Cir), testimoni dell’adesione associazionistica al progetto. L’autore ha infatti spiegato di aver attraversato i Paesi africani grazie al supporto delle onlus locali e nell’ambito di un progetto elaborato con Fortress Europe. Così, Del Grande, abbandona l’Italia per toccare tutti i Paesi del Nord Africa, dal Mali al Senegal, dalla Tunisia alla Mauritania, fino al Sahara Occidentale, con l’unica esclusione di Algeria e Libano, dove l’autore non è riuscito ad ottenere il visto. La descrizione del viaggio si intreccia con la narrazione delle partenze dal destino incerto, evidenziando, inoltre, una realtà normalmente relegata nell’oblio mediatico, le deportazioni.

“Nel reportage – specifica Del Grande – vengono messe in luce le due realtà dei viaggi della speranza. Le vittime dell’immigrazione e le vittime della repressione”. è così che, in centosessanta pagine, si possono scoprire i tanti volti dei viaggi clandestini, in un racconto che chiama direttamente in causa i governi africani e le società civili delle due sponde del Mediterraneo. Le parole di chi ce l’ha fatta a sbarcare nell’agognato Bel Paese e le delusioni di chi, invece, è stato fermato dai gendarmi di confine, si uniscono, creando la vera voce narrante del libro.

Dal 1988 almeno 10.000 giovani sono morti tentando di raggiungere l’Europa. Vittime dei naufragi, ma anche del Sahara, degli incidenti di tir carichi di uomini, della neve ai valichi, dei campi minati e dei controlli delle forze dell’ordine. Notizie, stereotipi che l’opinione pubblica è ormai abituata ad ascoltare quotidianamente e alle quali non presta quasi più attenzione. Ma l’emigrazione, i viaggi della speranza sono fatti di tante altre storie. Padri, figli e mogli che non tornano a casa perché ad intrappolarli, questa volta, non sono le onde del mare, ma l’orizzonte impercettibile del deserto.

Non è quantificabile, infatti, il numero esatto di persone che spariscono perché deportate nel “gulag” africano, il deserto. La linea dura delle società d’oltremare contro l’immigrazione si traduce nella repressione da parte dei governi locali, che effettuano regolarmente retate notturne ed arresti senza processo, finalizzati alla deportazione oltre la frontiera, che in Africa significa rimanere imbrigliati nelle sterminate distese del Sahara. In questa realtà, partire significa sperare di non diventare l’ennesima vittima del cimitero Mediterraneo e pregare di non rimanere disperso nei confini. E la maggior parte della popolazione nord africana continua a sperare e pregare.

Dalle interviste ai familiari dei naufraghi del 19 agosto 2006 a Lampedusa, fino alle testimonianze dirette di chi è ben intenzionato a partire perché rimanere nel Paese d’origine “è un lento suicidio”, come spiega un giovane marocchino all’autore, si delinea parola dopo parola la psicologia di chi, giornalmente, timbra il biglietto sulle “carrette del mare”. In una realtà che non ti permette di avere niente, non c’è nulla da perdere.

Nessun commento: