don. Mosè

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Roma, Italy
Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

mercoledì 3 ottobre 2007

Intervento al Senato

Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani
Senato della Repubblica
Onorevoli Senatori, membri di questa Commissione parlamentare, che oggi ci offrite la possibilità di spiegare il dramma che sta vivendo il nostro popolo in Eritrea e di conseguenza coloro che sono esiliati fuori dal Paese; desidero all’inizio di questo mio intervento, ringraziare questa Commissione nella persona del suo Presidente, Senatore Enrico Pianetta e tutti i membri che la compongono per averci dato questo spazio e confidiamo nell’impegno che vorrà prendere detta Commissione per trovare o proporre soluzioni ai problemi che attanagliano la popolazione eritrea. Un grazie particolare al Senatore Francesco Martone, che gentilmente ha voluto inoltrare la nostra richiesta, e per la sua sensibilità verso le problematiche che stiamo vivendo tutti noi eritrei in diaspora.
La questione eritrea ha avuto un’eco internazionale, solo dopo lo scoppio della guerra con l’Etiopia nel biennio 1998 - 2000, ma le violazioni dei diritti umani erano già in atto dal 1991. Il periodo bellico intercorso fra i due Paesi, ha peggiorato la situazione su vari aspetti: quello sociale, economico, legale e religioso, ha anche fornito un valido alibi al regime per rimandare l’entrata in vigore della Costituzione, ufficializzata dal Referendum popolare del 1997, e di conseguenza tutti gli emendamenti prefissati sono venuti meno e a favore del presidente, che sarebbe dovuto rimanere in carica fino a dicembre 2001, anno in cui erano previste le elezioni presidenziali del Paese eritreo secondo detta Costituzione tutt’ora inattuata. L’attuale regime giustifica questo rimando temporale a causa dello stato di guerra con l’Etiopia, anche se nel dicembre 2000 è stato firmato l’accordo di pace ad Algeri con il sostegno dell’ONU e la garanzia del Consiglio di Sicurezza, e il successivo dispiegamento dei Caschi blu lungo il confine tra i due Paesi per garantire la pace stipulata. È notizia di questi giorni che, una parte di essi, sono stati espulsi dall’Eritrea, aumentando il rischio della ripresa della guerra.
Il 13 aprile 2002 ci fu la decisione della Commissione confini incaricata dall’ONU di delimitare e demarcare il confine coloniale in base ai trattati coloniali (del 1900, 1902, e 1908) e secondo leggi internazionali riferibili. Tuttavia il governo etiope temporeggia nell’accettare il verdetto legale, finale e vincolante in base l’accordo di pace l’articolo 4.15; fino ad arrivare alla risoluzione 1640 del novembre 2005, che invitava l’Etiopia ad accettare la decisione della commissione e rammentava all’Eritrea di non ostacolare l’intervento dei Caschi blu, altamente disattesa.
Circa le molteplici violazioni dei diritti dei cittadini eritrei in patria, rammento che nell’ottobre del 1991, il signor Bitweded Abraha, dirigente del Ministero della Difesa, fu incarcerato in cella di isolamento per aver criticato alcune azioni del costituendo governo e da allora fino ad oggi non ha mai avuto la possibilità di essere giudicato da un tribunale legalmente riconosciuto.
Nel maggio 1993 alcuni soldati che lottarono per l’indipendenza del nostro Paese, manifestarono in piazza chiedendo che venisse dato loro uno stipendio; il governo rispose con un’ ondata di arresti e tanti di loro ancora non sono stati liberati. Nel maggio del 1994 alcuni invalidi di guerra residenti a May Habar, chiedendo di essere assistiti per le loro infermità, furono messi in carcere o uccisi. Nel 2001, alcuni studenti universitari, per aver manifestato in vista del rispetto dei loro diritti di studenti e giovani lavoratori, sono stati torturati attraverso l’esposizione dei loro corpi a sbalzi di temperature alte, causando la morte di alcuni di loro. Nel settembre dello stesso anno, 15 tra ministri e generali, che chiedevano una riforma del sistema di governo, attraverso la coalizione di più partiti politici, furono accusati di tradimento e arrestati in carceri segrete, senza nessun processo. A causa di questo fatto, alcuni personaggi, ritenuti "saggi" dalla popolazione, per essere intervenuti a favore della conciliazione fra le fazioni di potere interne al Paese, sono stati messi in carcere. Nello stesso mese, giornalisti che chiedevano la libertà di stampa e la correttezza nell’informazione, furono arrestati. Oggi sono una decina i giornalisti in carcere. Analoga sorte è toccata a migliaia di persone (si parla di una stima di 40.000 unità), che per motivi di coscienza, hanno contrastato l’ideale del regime. Un’ulteriore aggravante è l’uso illegittimo di questi prigionieri che sono costretti ai lavori forzati.
Si registrano, inoltre, retate vere e proprie di studenti e studentesse liceali minorenni, ormai prossimi alla conclusione dell’iter scolastico, che vengono portati al fronte, nel campo di addestramento di Sawa, per esercitazioni di guerra e sfruttamento di mano d’opera (costruzione di strade, ponti e abitazioni dei leader militari), nonché sono oggetto di abusi sessuali da parte dei capi dell’esercito (specialmente le ragazze). Proseguendo nel triste panorama che si prospetta in Eritrea, si evidenzia ancora, in questo ambito, che nel giugno scorso, sono stati fucilati 161 tra ragazzi e ragazze, con la condanna di diserzione, poiché erano riusciti a scappare dalle caserme.
Si è registrato ultimamente l’arresto di familiari di coloro che lasciano il Paese illegalmente, i quali vengono rilasciati solo dietro un versamento di somme ingenti che va da 10.000 a 100.000 Nakfa (corrispondenti ad uno stipendio medio annuale o decennale); inoltre a coloro che non pagano queste quote, vengono confiscati tutti i beni mobili e immobili.
Particolare menzione merita la triste vicenda dei profughi e rifugiati espulsi dai governi maltese e libico, che non appena rientrati in Eritrea sono stati fatti sparire "letteralmente" dalla circolazione: ancora oggi, a distanza di un anno, non si sa se siano morti o vivi.
La nostra gente sta fuggendo per disperazione da una tirannia spietata, affrontando viaggi pericolosi con il rischio di perdere la vita, come accade lungo il deserto del Sahara, nel mare Mediteranno e subendo anche soprusi in Sudan e in Libia, discriminati, taglieggiati dai criminali Libici o del Maghreb. Questi connazionali, una volta arrivati in Italia (Paese che noi riteniamo come la nostra seconda patria) trovano poca assistenza. La Commissione preposta ad esaminare il loro caso, ultimamente fornisce solo il permesso di soggiorno per motivo umanitario, ma non vengono riconosciuti come rifugiati, anche per casi eclatanti di gente che ha bisogno veramente di uno status di rifugiato viene dato solo quello umanitario.
Qui voglio far notare che, la nostra gente, non fugge dalla guerra per difendere i suoi confini, non per niente l’esodo lo abbiamo avuto in questi ultimi 3 anni, ma fugge dalla dittatura che è in atto in Eritrea, dalla violenza, dalla lenta morte di un popolo che ha lottato per la sua libertà e indipendenza.
Per questi gravi motivi, chiediamo che l’Italia solleciti nelle sedi ONU e dell’UE un intervento che impedisca un ulteriore dissidio bellico tra i due Paesi, e che la comunità internazionale ottenga dall’Etiopia il rispetto dell’accordo di pace del 2000, di conseguenza il verdetto emesso dalla commissione confini, le decisioni prese dal Consiglio di Sicurezza ONU.
Lo Stato italiano, con gli altri Paesi membri dell’UE, chiedano al governo eritreo l’entrata in vigore della Costituzione, la quale contempla il rispetto dei diritti umani, la libertà di stampa, la libertà religiosa, il pluralismo politico, l’autonomia del sistema giudiziario, la libertà di movimento e in particolare sollecitino la liberazione dei familiari di tutti gli Eritrei rifugiati all’estero.
Questa Commissione chieda al Ministero degli Interni italiano, il riesame di tutte le pratiche di Eritrei che hanno presentato richiesta di asilo e che hanno ricevuto il diniego. Vengano riesaminate anche le pratiche di coloro che in Eritrea ricoprivano cariche istituzionali, le quali sono in possesso della protezione umanitaria, per valutare la possibilità di ricevere il riconoscimento dello status di rifugiati.
Onorevoli Senatori, auspicando una felice risoluzione ai problemi che vi ho presentati, mi auguro che farete il possibile perché queste nostre richieste vengano prese in seria considerazione a livello internazionale. Colgo l’occasione per esprimere la nostra riconoscenza per l’attenzione accordata durante questa audizione ed auguriamo a ciascuno sinceri auguri per le prossime festività natalizie e per il nuovo anno 2006.
Roma 20 dicembre ’05
Mussie Zerai Yosief

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