don. Mosè

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Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

sabato 17 novembre 2007

Missionari Espulsi dal regime Eritreo



Eritrea / Il rientro dei missionari 17/11/2007

Ostacoli al regime

Sono giunti a Roma i religiosi cattolici “espulsi” dal regime eritreo, perché stranieri. Hanno raccontato di un paese allo stremo e di una Chiesa che non si vuole sottomettere ai diktat del presidente Isaias Afwerki, che la vorrebbe “nazionale”.


Sono giunti a Roma i religiosi cattolici (nella foto) “espulsi” dal regime eritreo, perché stranieri. Hanno raccontato di un paese allo stremo e di una Chiesa che non si vuole sottomettere ai diktat del presidente Isaias Afwerki, che la vorrebbe “nazionale”.
Sono arrivati alle 5 di stamani a Fiumicino. Erano in otto. Provenivano da Asmara. Sono missionari e missionarie espulsi dall’Eritrea del dittatore Isaias Afwerki. Dovevano essere in nove. Ma all’ultimo istante una suora americana è stata trattenuta dalle autorità locali nell’aeroporto eritreo, per gli ultimi intoppi “burocratici”. Sono i religiosi che hanno ricevuto, il 6 novembre, il benservito dal governo, che non ha rinnovato loro il permesso di soggiorno. Hanno ricevuto un visto d’uscita senza avere più la possibilità di un ritorno.
La motivazione ufficiale è che la Chiesa cattolica è considerata una specie di ong. E come per tutte le organizzazioni non governative presenti in Eritrea, i membri non possono rimanere in quel paese per più di due anni. La realtà, come hanno raccontato gli stessi “espulsi”, è anche un’altra: si potrebbe trattare di una vera e propria ritorsione nei confronti dei cattolici, che rappresenterebbero un intralcio a un regime che di intoppi non ne vuole avere.
Nella conferenza stampa, organizzata a Roma presso la casa generalizia dei comboniani all’Eur , i missionari allontanati hanno ripercorso le tappe di un rapporto incrinato. E di un paese allo stremo. Data fondamentale resta il primo novembre del 2006, quando i cinque vescovi dell’Eritrea (tra cui due “emeriti”) hanno detto no al governo che chiedeva la “militarizzazione” anche dei sacerdoti e dei religiosi. Nel paese del Corno i ragazzi e le ragazze, a partire dal diciottesimo anno di età, vengono reclutati. E se per le donne la leva è obbligatoria fino a 40 anni, gli uomini smettono la divisa a 60.
Isaias avrebbe voluto che anche i sacerdoti e religiosi imbracciassero i fucili per difendere il patrio suolo. Il fermo no della Chiesa ha rotto i piani di un governo che ha già sottomesso la Chiesa ortodossa, di cui ha arrestato il patriarca Antonio, sostituito con un laico. E ogni domenica la subordinazione ortodossa arriva fino al punto che emissari governativi vanno nelle chiese del paese per portarsi via le elemosine dei fedeli.
La Chiesa cattolica non è stata al gioco. Un’insubordinazione che ha irritato il regime che già da tempo aveva rispolverato il proclama 73 del 1995: la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici. Tutte le realtà cattoliche del paese sono state visitate da “esattori” del governo che hanno voluto fare l’inventario dei beni e delle proprietà ecclesiastiche. Lo scopo è evidente.
Del resto, è apparso chiaro dai racconti dei religiosi tornati da Asmara che il regime, sempre più isolato internazionalmente, sta cercando di sopravvivere a una situazione economica disastrosa . I beni di prima necessità sono razionalizzati. Si può acquistare il pane con la tessera governativa ogni due giorni e spesso non in quantità sufficiente per sfamare famiglie numerose. Manca l’olio, lo zucchero, il caffè. Il blocco alle importazioni è catastrofico. E’ stata vietata, di fatto, l’attività commerciale, nazionalizzata pure quella. Le famiglie sono allo stremo: vedono i loro figli diventare militari o tentare una fuga disperata dal paese. E quella “diserzione” la pagano proprio i genitori, spesso arrestati e torturati.
Per reggere una situazione economica al collasso, il regime gioca ancora la carta del pericolo etiopico e dei confini non rispettati. E l’appello lanciato agli organismi internazionali e ad Addis Abeba dai missionari, in particolare da suor Maria Angela Pagani, è stato proprio di far rispettare il verdetto della Commissione confini nel 2002, seguito agli accordi di Algeri del 2000 sulla fine del conflitto etiopico-eritreo. “Far rispettare quell’accordo”, ha ricordato suor Pagani “significa togliere l’alibi più forte a Isaias per mantenere soggiogato e militarizzato il suo paese”.
E ora? I missionari hanno ricordato che la loro partenza forse metterà in difficoltà la Chiesa eritrea, “anche se sarà certamente in grado di reggere questo vuoto sostituendoci con i preti e religiosi locali”. Il compito degli “allontanati”, ora, sarà soprattutto quello di svegliare dal torpore una comunità internazionale che continua a chiudere gli occhi sull’Eritrea”.
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