don. Mosè

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Roma, Italy
Sono Sacerdote Eritreo. Vivo in Italia dal 1992 Attualmente studio alla Pontificia Università Urbaniana Mi occupo dei diritti dei migranti, inparticolare dei richiedenti asilo politico e Rifugiati politici. Sono impegnato a favore dei diritti umani e civili degli Eritrei ed Etiopi.

mercoledì 13 maggio 2009

Don. Palazzo "Immigrati? Non c'è più posto"

Parla don Palazzo,"prete dei disperati"

“So ch’è uscita co’ nu poco di scalpore”. Ricorda così don Antonio Palazzo l’intervista che rilasciò al Corriere nel 1999. Disse: “Troppo disordine, non c’è posto per altri clandestini”. Una dichiarazione sofferta. Perché don Antonio è considerato il prete dei poveri dalle sue parti, a Castel Volturno in provincia di Caserta. Con la sua associazione Jerry Maslo, il prete ha aiutato migliaia di immigrati clandestini. Tanto che non riesce più a tenere il conto dei registri. Ha annotato tutti i disperati, dal lontano ’89, e continua a farlo.

Per dotare i clandestini, che non hanno documenti, di una specie di surrogato del passaporto, che permetta loro di accedere ai servizi dell’associazione. Un’invenzione di don Antonio: i tesserini Caritas, con nome, foto e data. In questo modo i clandestini possono accedere agli ambulatori e alle mense allestite. E possono ricevere posta dal proprio paese. Senza paura. Nonostante tutto questo nel ‘99 ha cambiato idea: “Basta clandestini!”. E, dall’epoca, don Antonio non si è più convertito. Oggi si occupa ancora di immigrazione e ne parla molto. Ma dice poco di camorra. E niente di politica.


Monsignor Agostino Marchetto del Pontificio Consiglio per i Migranti ha detto che il rimpatrio dei clandestini in Libia “ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati”, è d’accordo con la posizione ufficiale della Chiesa cattolica?

Non so se veramente sono state violate le leggi. Comunque non è compito della Chiesa stabilirlo. So che se qui arrivano continuamente succede che non c’è più posto. Nell’area di Castel Volturno ci sono circa 30mila italiani, e gli immigrati, tra registrati e non, sono circa 10mila. È insostenibile. La strada principale del paese sembra una provincia dell’Africa. Capisco che il diritto d’asilo è fondamentale. Ma molto spesso questi ragazzi mentono sulla propria provenienza proprio per ottenere i requisiti. E non vengono da situazioni di guerra né da dittature.

Marchetto sostiene che la legislazione italiana in materia migratoria sia macchiata da un “peccato originale”: la volontà di “criminalizzare gli emigranti irregolari”.

Secondo me non esiste questo “peccato originale”. L’Italia non è razzista. Neppure in politica. Facciamo un esempio. Se un ristoratore ha delle prostitute di fronte al suo locale e le vuole cacciare, quello non è razzismo. Vuole solo un po’ di moralità.

Nel ‘99 in un intervista al Corriere sostenne che “non si potevano far entrare altri clandestini”. Ma denunciava anche quei partiti che, come lei disse all’epoca di An, soffiavano sul fuoco: “Se c’è delinquenza è colpa dei negri”. E oggi?

Preferisco non esprimermi. Gli equilibri politici a Castel Volturno sono in bilico e per questo non dico niente dei partiti. Però non nascondo che c’è un problema oggettivo. Qui i servizi pubblici sono pensati per 30mila persone. Invece, finisce che ne devono servire almeno 10mila in più. È ovvio che si creino delle situazioni spiacevoli e che qualcuno possa far leva su queste disfunzioni. Gli abitanti di Castel Volturno sono accoglienti e lo hanno dimostrato con i terremotati del 1980. Forse è proprio per questo che gli immigrati decidono di fermarsi in massa sulla nostra costa.

A Milano c’è stata anche la proposta della Lega Nord di separare milanesi ed extracomunitari nella metropolitana, creando vagoni separati. Lei paragonò già Milano con la sua Campania “abbandonata nel caos dallo Stato”.

La proposta non è da condividere. Ma deriva probabilmente da una situazione estrema. Può capitare che per casi sociali estremi qualcuno pensi a cure estremiste. Vede, dalle nostre parti, nell’entroterra campano, la gente non capisce i problemi che abbiamo noi della costa con gli immigrati. Questo perché non vivono qui. Vale lo stesso per Milano. Per quanto riguarda lo Stato, devo dire con rammarico che l’esercito inviato quaggiù dal ministro Maroni si occupa solo della camorra e praticamente per nulla della mafia nigeriana. Che porta prostituzione e spaccio di droga.

Lei è stato a contatto con molti immigrati. Con le loro storie.

Alla fine degli anni ’80 arrivavano con i barconi direttamente sulla costa di Castel Volturno. Adesso le barche semmai si fermano in Sicilia. Gli immigrati arrivano dopo, e rimangono a Castel Volturno soltanto come parcheggio, perché non c’è tanto lavoro. Qualcuno, per brevi periodi, si spinge fino in Germania per un’occupazione. Sono soprattutto nigeriani. In generale, dormono in abitazioni che vengono affittate per circa 500 euro a un immigrato con regolare permesso di soggiorno. Ma di loro ci vivono fino in venti della stessa nazionalità, pagando 50 euro a testa per un posto letto. L’africano che ci guadagna manda di solito i soldi in patria.

Camorra e clandestinità. Come s’intrecciano questi due fenomeni?

La Camorra non c’entra con la tratta di esseri umani. Sono soprattutto associazioni mafiose che hanno base nei paesi di provenienza degli immigrati a gestire il fenomeno. Accade questo: l’associazione dice all’emigrante che gli troverà un posto di lavoro pulito in Italia. Gli paga anche il viaggio. Via Ghana, oppure perfino via Germania o Francia. Poi, una volta arrivato, gli tolgono i documenti per ricattarlo e gli dicono che ha un debito con loro di 15 o 20mila euro. Sono pochi ormai che non arrivano con un volo aereo. Le donne finiscono per fare le prostitute e gli uomini gli spacciatori. Purtroppo la maggior parte degli uomini raccoglierebbe pomodori o farebbe il muratore. Ma quando rimangono disoccupati gli immigrati diventano facile prede di questo sistema. Finché qualcuno non decide addirittura di entrare nell’organizzazione malavitosa per fare soldi facili.

Berlusconi ha sentenziato: “l’immigrazione è organizzata scientificamente da criminali”. Mentre cattolici di Pd e Udc hanno firmato un appello per i colleghi “credenti” del Pdl affinché rifiutino le norme del ddl sicurezza. Savino Pezzotta, ex segretario della Cils ha parlato di "pararazzismo" e ha dichiarato: “In questi giorni vengono respinte persone che sono in gran parte profughi".

I delinquenti sono soprattutto queste organizzazioni con base in Africa. Quelli che vengono da noi e delinquono sono una minoranza. Se finiscono nel giro è soprattutto per necessità. Secondo me la soluzione è scoraggiare l’immigrazione nei paesi di origine. Con la nostra associazione Jerry Maslo abbiamo costruito pozzi, scuole e ambulatori in Benin. Abbiamo aperto dei conti correnti intestati ai bambini, soldi che non possono toccare neppure i loro genitori prima dei 18 anni. Un meccanismo che serve a disincentivare la fuga. Sul respingimento dei barconi non mi esprimo. Comunque, quando i clandestini vengono da me per chiedermi un panino, io non li denuncio, ma do loro il panino che mi chiedono.

IL SANTO DEL GIORNO: 14 MAGGIO - MATTIA

Roma, 13 mag. - (Adnkronos) - Eusebio di Cesarea lo considera uno dei settantadue discepoli del Signore. E' certo che dopo l'Ascensione, Pietro, trovandosi nel Cenacolo con gli apostoli, Maria e altri credenti, in numero di circa 120 persone, propone di riportare a dodici il numero degli apostoli, come era stato per volere del Maestro, scegliendo tra i presenti uno che fosse stato con Gesu' fin dall'inizio. La comunita' presenta due candidati: Giuseppe detto il Giusto e Mattia. Dopo una breve preghiera si tira a sorte e questa cade su Mattia. L'apostolo Mattia muore testimoniando la fede nel 63 in Etiopia.

domenica 3 maggio 2009

Nessuna Salvezza al di fuori di Cristo!


L’uomo non ha in sé la capacità
di redenzione. Dietro le tesi di Mancuso, la tentazione gnostica
ENZO BIANCHI

Il senso cristiano della parola «salvezza» è sempre più sconosciuto, eppure la domanda di salvezza - anche se espressa con termini diversi - risuona con forza perché oggi più che mai emerge il desiderio di ogni uomo e di ogni donna. Essere liberi dalle alienazioni che contraddicono la condizione umana, redenti dalla morte e dalla sofferenza nelle sue molteplici forme, liberati dalle schiavitù che opprimono il corpo e la psiche e impediscono all’uomo di essere ciò che vorrebbe, salvati dal male che si può fare o ricevere: tutto questo significa trovare salvezza, salvarsi, essere salvati.

Tutti gli esseri umani sono abitati da una domanda di salvezza che talora si manifesta come grido disperato, talaltra come ricerca perseguita con impegno e determinazione, altre volte ancora sotto la forma di un interrogativo inespresso, una non-domanda. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani coinvolge in questa domanda di salvezza il cosmo intero: «la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere pure lei liberata dalla schiavitù della corruzione... Tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,19-23). La salvezza cristiana ha allora una portata cosmica: vi è una speranza di salvezza, una trasfigurazione avvertita come necessaria dal cosmo intero. Così, quando l’uomo chiede salvezza, si fa voce anche di tutte le creature, animate e inanimate.

A questo dolore cosmico non può che corrispondere una salvezza cosmica, salvezza che appare soprattutto come liberazione dalla morte, come nuova creazione dove «non ci sarà più la morte, né il lutto, né il lamento perché le cose di prima sono passate» (Apocalisse 21,4). Con una certa audacia si potrebbe affermare anche che ogni essere umano, in virtù di un dinamismo che precede il suo volere e il suo sentire, è attirato verso la salvezza assieme a tutta la creazione. Salvezza che, per essere autentica, deve declinarsi come liberazione dalla morte: così nella loro attesa di salvezza i cristiani sono chiamati a sperare per tutti nella venuta definitiva del Signore che apporterà alla storia il suo compimento.

Ora, nella fede cristiana questa salvezza è azione di Dio nella storia, dall’in-principio fino a quando la storia stessa troverà il suo compimento. Per i cristiani, quindi, c’è una storia di salvezza grazie a un’azione di Dio - acclamato già da Israele come Goel, «Redentore», nell’uscita dall’Egitto - che ha il suo culmine nell’incarnazione, nell’umanizzazione di suo Figlio. Il Dio dei cristiani è il Dio che salva, che si prende cura del sofferente; è il compassionevole che accorre dove c’è la vittima, le si fa vicino e non l’abbandona neanche al di là della morte. È quanto ha fatto Gesù - il cui nome significa «il Signore salva» - con le persone che incontrava: è passato tra gli uomini salvando le vite, come ci testimoniano i Vangeli con la loro narrazione di storie personali e di relazioni con Gesù. E avendo vissuto l’amore fino all’estremo e senza contraddizioni, Gesù quale Figlio è stato risuscitato dal Padre in modo che l’amore di Dio, l’amore che è Dio vincesse la morte. L’evento dell’alba pasquale sigilla la presenza della salvezza autentica: Gesù risorto ha trionfato sulla morte ed è veramente il Kyrios, il Signore della Chiesa e del cosmo.

Questa è la fede cristiana e la declinazione della salvezza cristiana, oggi non capìta neppure da molti cristiani che non osano credere nella risurrezione di Gesù, nella vittoria dell’amore sulla morte e sovente preferiscono pensare alla salvezza come realizzazione di sé, guarigione, felicità da acquisire nell’istante che passa, speranza terapeutica di tutti gli aspetti della realizzazione di sé. Così l’attesa della salvezza si è fatta individualistica: ciascuno si limita a sperare per sé, per la realizzazione dei propri interessi, identificando la salvezza con una promessa personale di vita senza gli altri o persino contro gli altri.

Questa deriva dell’idea di salvezza va denunciata con chiarezza senza pertanto misconoscere le molteplici ferite che affliggono l’esistenza quotidiana, le sofferenze nascoste sotto la superficie patinata di una società costantemente intenta a darsi un’immagine luccicante di illusioni. Ecco perché la storia della salvezza va coniugata con la salvezza delle storie: già qui e ora si può sperimentare la salvezza come arte del vivere quotidiano, una salvezza sì personale, ma anche solidale con gli altri e con il cosmo. È quanto ha testimoniato l’esistenza terrena di Gesù, il suo percorso di ricerca del senso della vita, della liberazione dalla morte.

La fede cristiana pensa dunque che la salvezza è opera di Dio, che l’uomo non si salva da se stesso, che questa salvezza ha avuto la sua pienezza in Gesù Cristo, l’unico salvatore del mondo, al quale competerà l’atto finale della storia, il «giudizio» che mostrerà come la salvezza è stata offerta a tutti ed è da tutti perseguibile, ma rivelerà anche chi potrà parteciparvi, in base alle scelte operate durante la propria vita, scelte secondo l’amore, che portano alla via della vita, o scelte contro l’amore, che conducono sulla via della morte e del nulla. Purtroppo oggi nella Chiesa questa predicazione sul giudizio escatologico è carente rischiando così non solo di dimenticare l’orizzonte della storia e le realtà ultime, ma anche di smarrire la comprensione della vera e definitiva salvezza. Un filosofo ateo come Adorno ha osato pensare la liberazione per tutti e non a caso ha concluso che questa potrebbe esserci se ci fosse un giudizio finale, una risurrezione dei morti che introducesse le vittime della storia in una condizione di salvezza e di restituzione all’integrità. Questa per i cristiani è una convinzione essenziale della fede: se infatti Cristo non è risorto, se non ci sarà giudizio finale, vana è la nostra fede e noi cristiani siamo da compiangere come i più miserabili (cfr. Prima Lettera ai Corinti 15, 17-19).

A questa concezione cristiana si opposero ben presto altre letture della salvezza o altre salvezze, come quella dichiarata dalle «gnosi», dove la salvezza consiste in una presa di coscienza da parte dell’uomo di se stesso e della sua identità divina originale avente in sé, senza Dio, una capacità di redenzione. Oggi, sulla scia delle gnosi, attraversano la nostra cultura molte concezioni di salvezza che negano o attenuano l’azione di salvezza del Dio vivente nella storia: poco attente alla «storia di Gesù di Nazareth», sono portate a relegare l’evento della croce e della risurrezione di Gesù a semplice eloquenza dell’amore. Se la vicenda della rivelazione di Dio da Abramo a Mosè fino a Gesù è ridotta a una storia particolare, che riguarda un tempo e un popolo particolare, la si coglie come vicenda incapace di portata universale, come invece l’ha sempre letta la tradizione cristiana.

È per questo che, senza voler giudicare eretico Vito Mancuso né tanto meno volerlo condannare, ho letto i suoi due ultimi libri come appartenenti alla galassia di una gnosi oggi risuscitata. La fede cristiana, e non solo quella cattolica, è invece convinta che Gesù di Nazareth è stato ed è «l’immagine del Dio invisibile», «l’esegesi del Padre», il Figlio di Dio fattosi uomo, il giusto condannato e crocifisso perché in un mondo ingiusto questa è la fine che spetta al giusto. Sì, Gesù ha vissuto l’amore e la giustizia fino all’estremo e ci ha insegnato a vivere così quale vero uomo, l’uomo come Dio lo ha pensato nel crearlo. Con la risurrezione Dio ha mostrato che l’amore vissuto dall’uomo Gesù vince la morte e che dunque la salvezza è data a tutti quelli che si conformano a lui. Ecco perché, se nel mondo non ci fosse la Chiesa, verrebbe meno il segno e lo strumento del piano di Dio di riunire tutti gli uomini nell’unico corpo di Cristo, così che «l’uomo diventi Dio», secondo l’adagio dei padri orientali. Ma a questa salvezza possono partecipare tutti gli uomini di tutte le epoche e di tutte le culture quando, percorrendo vie di umanizzazione, si rendono conformi a Dio. È quanto ha rivelato Gesù nel discorso sul giudizio universale nel Vangelo secondo Matteo.

L’evento della morte-risurrezione di Gesù per i cristiani è l’unico evento di salvezza, un evento di portata universale: «Cristo è morto per tutti - ricorda il concilio - e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (Gaudium et spes 22). Tutti gli esseri umani, non solo i cristiani, non solo quelli che sono nella Chiesa, ma anche quelli «extra ecclesia» possono essere salvati da Cristo e la salvezza ha destinazione cosmica. Questa visione della storia di salvezza non si nutre di «miserabili artifizi, né di salti logici clamorosi», ma nasce dalla visione consegnataci dall’Antico e dal Nuovo Testamento in cui un popolo marginale, Israele, un ebreo marginale, Gesù, una comunità marginale come la Chiesa non sono una delle storie possibili, ma la storia scelta da Dio per fare alleanza con tutta l’umanità, perché il suo Nome possa regnare come speranza di salvezza per tutti quelli che nella libertà e per amore aderiscono alla buona notizia o all’immagine di Dio impressa per sempre da Dio stesso in ogni uomo fin dalla creazione.

La storia del popolo di Dio, la vicenda terrena di Gesù è particolare, ma con la sua morte e risurrezione Gesù è anche morto all’appartenenza ristretta a un gruppo particolare, per rinascere all’universalità, a una presenza diffusa ovunque dal suo Spirito santo. La salvezza passa sì attraverso una storia particolare, ma è destinata e si estende universalmente.